Il quadro normativo nazionale
L’istituto del “whistleblowing” – che significa letteralmente “soffiare nel fischietto” – è il sistema di denuncia da parte del lavoratore di attività illecite di cui sia venuto a conoscenza in virtù del proprio rapporto di lavoro.
Il whistleblowing ha trovato in Italia il suo riconoscimento normativo dapprima nel settore pubblico, con la Legge 6 novembre 2012 n. 190 rubricata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”, meglio nota come “Legge Severino”. La disciplina si poneva l’obiettivo di promuovere uno strumento di lotta alla corruzione che consentisse al dipendente pubblico di denunciare gli illeciti di cui fosse venuto a conoscenza nell’ambito della propria attività lavorativa, senza temere eventuali azioni ritorsive a suo carico.
Tale normativa non ebbe immediatamente il seguito sperato a causa della mancata adozione di un apparato di norme volte a tutelare il “whistleblower”, ossia il segnalante, in modo effettivo e concreto da eventuali atti ritorsivi attuati a suo danno.
Proprio in tale contesto e in risposta alle istanze di tutela avanzate in ambito comunitario, con la Legge n. 179 del 2017, il legislatore italiano ha messo a punto un importante processo di riforma della disciplina in materia di segnalazione degli illeciti.
La Legge appena menzionata recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” ha avuto il “merito” di aver esteso la disciplina del whistleblowing al settore privato, mediante la modifica dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 con l’introduzione dei nuovi commi 2bis, 2ter e 2quater.
Queste disposizioni prevedono in particolare la tutela di coloro che abbiano segnalato illeciti di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito delle proprie mansioni lavorative e pongono a carico del datore di lavoro il divieto di porre in essere atti discriminatori o ritorsivi nei confronti del segnalante, con ciò intendendosi il licenziamento ritorsivo, il mutamento di mansioni o qualsiasi altra misura di medesima natura, addossando al contempo sul datore di lavoro l’onere di dimostrare che l’eventuale adozione di misure di tale genere a seguito della segnalazione non siano causalmente connesse alla segnalazione medesima.
Nonostante l’introduzione di tali norme in ambito privatistico, le differenze di tutela tra il settore pubblico e privato permangono in modo rilevante. Infatti, nei casi di adozione da parte del datore di lavoro di misure discriminatorie o ritorsive a danno del segnalante
- in ambito pubblico vige l’obbligo di trasmettere la notizia all’ANAC, che a sua volta la comunica al Dipartimento della Funzione Pubblica,
- in ambito privato, invece, sussiste una mera facoltà di comunicazione del fatto all’Ispettorato del Lavoro, ad istanza del lavoratore medesimo ovvero di un sindacato da questi designato.
Peraltro, la Legge n. 179/2017 resta in ogni caso applicabile esclusivamente agli enti dotati di modelli organizzativi di cui al D.Lgs. n. 231/2001.
Le ultime novità in tema di tutela del whistleblower: la Direttiva UE 1937/2019
Il tema della tutela dei whistleblowers è da tempo centro di interesse dell’Unione Europea, culminato con l’adozione della Direttiva n. 1937/2019 concernente proprio l’introduzione di nuove misure per la protezione dei whistleblowers tanto nel settore pubblico quanto in quello privato e volta ad armonizzare le normative nazionali in ottica di rafforzamento dei principi di trasparenza e responsabilità e di prevenzione dei reati.
Cosa prevede la Direttiva?
Innanzitutto, l’art. 2 della Direttiva individua l’ambito della sua applicazione materiale, ossia:
- violazioni che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione europea con riferimento a specifici settori (tra cui appalti pubblici, servizi finanziari, sicurezza dei prodotti e dei trasporti, ambiente, alimenti, salute pubblica, protezione dei consumatori, protezione dei dati, sicurezza delle reti e dei sistemi informatici, concorrenza);
- violazioni che ledono gli interessi finanziari dell’Unione;
- violazioni delle norme in materia di corruzione.
L’ambito di applicazione personale poi è più ampio di quella previsto nella disciplina nazionale: per “whistleblowers” infatti dovranno intendersi non solo i dipendenti, ma anche i lavoratori autonomi, gli azionisti, i membri degli organi di amministrazione e di controllo, i collaboratori esterni, i tirocinanti retribuiti e non, tutti i soggetti che lavorano sotto la supervisione e direzione di appaltatori, sub-appaltatori e fornitori, oltre che i c.d. facilitatori (ossia coloro che prestano assistenza al lavoratore nel processo di segnalazione e la cui assistenza dev’essere riservata), e finanche i terzi connessi al segnalante, quali i colleghi e i parenti.
In generale, le previsioni di maggior interesse attengono a:
- l’obbligo di istituire canali di segnalazione interni, esterni e pubblici;
- la necessità di adottare procedure per dare seguito alla segnalazione ricevuta, pur tutelando la riservatezza dell’identità del segnalante, in particolare:
- canali di segnalazione sicuri;
- avviso di ricevimento della segnalazione alla persona
- possibilità di avanzare le segnalazioni anche in forma orale, attraverso linee telefoniche o altri sistemi di messaggistica vocale e, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto entro un termine ragionevole;
- la designazione di una persona o di un servizio imparziale e competente per dare seguito alla segnalazione entro un termine ragionevole;
- la possibilità di ricorrere a terzi per la gestione delle segnalazioni che assicurino garanzie di indipendenza, riservatezza, protezione dei dati e segretezza, inclusi fornitori di piattaforme.
- Infine, il divieto di qualsiasi atto ritorsivo o discriminatorio nei confronti del segnalante che trovi ragione proprio nella segnalazione effettuata, inclusi gli atti di discriminazione anche solo indiretti, quali ad esempio valutazioni negative della performance, mancate promozioni o referenze negative.
La novità che tuttavia desta maggior interesse nel settore risiede nella previsione che tale apparato normativo trovi applicazione nei confronti di tutti gli enti privati che abbiano più di 50 dipendenti, indipendentemente dalla natura delle loro attività e, di conseguenza, a prescindere dal fatto che tali enti abbiano adottato modelli organizzativi volti a ridurre il rischio di commissione di reati nell’interesse e a vantaggio dell’Ente – come quelli previsti dal d.lgs. 231/2001 – e con riferimento a qualsiasi violazione di diritto comunitario.
Il recepimento della Direttiva in Italia
Con ritardo di un anno, con decreto legislativo del 9 dicembre 2022, il legislatore italiano ha recepito la Direttiva europea sulla tutela dei whistleblowers, pubblicando uno schema di decreto che sarà posto al vaglio delle competenti commissioni parlamentari chiamate ad esprimere i propri pareri entro il 19 gennaio 2023.
Il recepimento della Direttiva sul whistleblowing avrà un impatto notevole per gli enti che saranno chiamati ad attuare le disposizioni previste in tema di segnalazione di illeciti. Certamente, gli enti privati già dotati Modelli 231 dovranno aggiornare i sistemi di segnalazione già implementati, valutandone l’adeguatezza e prevedendo quanto previsto in tema di segnalazioni interne, esterne e pubbliche. Occorrerà poi implementare procedure e strumenti che consentono agli enti di dare seguito alle allegazioni oggetto delle segnalazioni ricevute con il dovuto grado di diligenza e tempestività, anche eventualmente affidando tale compito a terzi fornitori di piattaforme.
Per gli enti che invece non hanno oggi un MOG, la necessità di adeguarsi alla normativa in tema di whistleblowing rappresenta di certo una occasione da non lasciarsi sfuggire per valutare l’opportunità di adottare un efficace sistema 231.