È noto che, ai sensi dell’art. 30 del Codice degli appalti (D.lgs. 163/2006), le concessioni di servizi pubblici non sono assoggettate alle norme del Codice stesso. La scelta del concessionario deve però avvenire nel rispetto dei principi generali di matrice comunitaria in materia di contratti pubblici. In particolare, la procedura di affidamento della concessione deve rispettare i principi di trasparenza, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità e concorrenza.

Tali principi generali sono alla base dell’intero impianto del Codice degli appalti e, quindi, ciascuna disposizione in esso contenuta, anche se non applicabile alle concessioni di servizi, trae origine da essi. Il Consiglio di Stato, riunito in Adunanza Plenaria, ha fatto luce sull’esistenza di alcune norme del Codice degli appalti che devono essere considerate imperative ed inderogabili. Esse sono infatti applicazione diretta dei suddetti principi e devono quindi essere applicate anche alle concessioni di servizi, anche sovrapponendosi ed applicandosi alla lex specialis di gara.

Tra di esse vi è la disposizione che regola la nomina della commissione di gara. Tale disposizione impone che la commissione di gara sia nominata dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte e che sia composta da soggetti che non possono svolgere alcuna funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto da affidare. Tale norma, pur essendo contenuta nell’art. 84, commi 4 e 10, del Codice degli appalti, deriva direttamente dai principi di trasparenza e di imparzialità ed ha quindi efficacia imperativa anche nelle concessioni di servizi.

Tale orientamento del Consiglio di Stato, volto ad assimilare sempre più il regime applicabile alle concessioni a quello degli appalti, si innesta nel filone europeo di definizione di una Direttiva di armonizzazione dei contratti pubblici di concessione (ad oggi in fase di proposta). Non tutte le disposizioni del Codice degli appalti hanno però tale efficacia per le concessioni di servizi, ma solo quelle che costituiscono estrinsecazioni essenziali dei principi di diritto dell’Unione europea applicabili. Altre norme del Codice possono essere richiamate nel bando e quindi applicate in quella particolare procedura di affidamento, ma non godono però di efficacia imperativa.

È questo il caso, ad esempio dell’applicazione dell’art. 75 del Codice degli appalti che stabilisce che l’offerta sia accompagnata da una cauzione provvisoria pari al 2% del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, calcolato sull’intero valore del rapporto e non solo sulla parte dello stesso riconducibile alla concessione. Si fa riferimento ai casi in cui la concessione rappresenti il rapporto prevalente, ma sia accompagnata ad altri rapporti, assimilabili ad esempio all’appalto di servizi.

Se invece la disposizione del Codice degli appalti non è contenuta nella lex di gara – né tantomeno è considerabile essenziale estrinsecazione di un principio generale dei contrati pubblici – allora la sua violazione non può condurre alla invalidazione della procedura.  

Nell’interpretazione data dall’Adunanza Plenaria, questo è il caso dell’art. 69 del Codice degli appalti, il quale dispone che condizioni particolari di esecuzione – quali la clausola sociale che impone al concedente di garantire la continuità dei contratti di lavoro in essere al momento del subentro – siano legittime solo ove contenute nel bando di gara o nella lettera di invito o nel capitolato d’oneri.

Sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, del 6 agosto 2013, n. 19;

Sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, del 7 maggio 2013, n. 13