La sentenza Cofemel (Cofemel – Sociedade de Vestuário SA v G-Star Raw CV, C-683/17), emessa dalla Corte di Giustizia Europea nel settembre 2019, potrà avere importanti implicazioni nel panorama italiano della disciplina autoriale, con riferimento al requisito del valore artistico e alla forma funzionale.

La Corte suprema portoghese, investita di decidere sulla controversia tra le due società, sottoponeva alla Corte europea la questione se l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/29 (Direttiva InfoSoc), come interpretato dalla Corte, osti a che i disegni e i modelli industriali siano protetti dal diritto d’autore solo qualora presentino un carattere artistico particolarmente inteso, il quale ecceda quanto normalmente richiesto per altre categorie di opere.

Nella sua analisi, l’Avvocato Generale Szpunar, alla luce del cumulo di tutele previsto per modelli e opere del design industriale e diritto d’autore, chiarisce che a nessun ulteriore requisito sarebbe possibile subordinare la concessione della tutela autoriale oltre a quelli già previsti nella Direttiva stessa, ossia la creatività e l’originalità. Quanto alla funzionalità, l’AG sostiene poi che le soluzioni dettate unicamente dal risultato tecnico non possano essere protette, al pari del lavoro privo di qualsivoglia creatività.

La Corte di Giustizia si esprime partendo dalla definizione di “opera” ai sensi della Direttiva 2001/29. L’opera, affinché possa considerarsi tale, deve concretizzarsi innanzitutto in un oggetto originale, una creazione intellettuale propria del suo autore; deve riflettere la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere, creative e personali di quest’ultimo. Ciò impone la necessità di identificare, con sufficiente precisione e oggettività, gli elementi che sono espressione di tale libera creazione.

Alla luce di ciò, la Corte ha affermato che (i) l’effetto estetico, di per sé, nulla rileva ed esso non può considerarsi un requisito idoneo a fondare il giudizio relativo alla concessione della tutela autoriale in quanto collegato ad “un effetto visivo soggettivamente rilevante” e (ii) quando la realizzazione di un oggetto viene determinata da considerazioni di carattere tecnico, da regole o altri vincoli che non lasciano margine per la libertà creativa, il requisito della creatività necessaria per poter costituire un’opera viene meno.

Le conclusioni della CGUE nel caso Cofemel potrebbero avere un forte impatto sulla disciplina italiana del diritto d’autore.

La disciplina italiana prevede il requisito ulteriore del valore artistico al quale è subordinata la concessione della tutela autoriale alle opere dell’industrial design (art. 2, n. 10 l.d.a.). Alla luce della sentenza Cofemel, può dirsi detto requisito effettivamente “incompatibile” con la normativa europea?

Il nostro ordinamento non ritiene il valore artistico un requisito che abbia a che vedere con l’effetto visivo esteticamente (e soggettivamente) rilevante a cui allude la Corte europea. Infatti, in giurisprudenza è consolidato l’orientamento che identifica il valore artistico in senso oggettivo. La Cassazione ha confermato – anche di recente con la decisone n. 7477/2017 – l’impostazione assunta dalle Corti di merito che il “valore artistico” deve essere valutato alla luce di parametri oggettivi quali, ad esempio, (i) il riconoscimento da parte degli ambienti culturali ed istituzionali circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche; (ii) l’esposizione in mostre o musei; (iii) la pubblicazione su riviste specializzate o, anche, (iv) l’attribuzione di premi.

Le Corti di merito applicano gli indici sopra descritti per arrivare a riconoscere il valore artistico o meno in base alla precisa rispondenza a tali criteri. Si vedano ad esempio i casi del divano Maralunga ideato dal noto architetto milanese Magistretti (Tribunale di Milano, 11942/2017) e della poltrona Pitagora della Frau (Tribunale di Milano, 11766/2017) dove i giudici hanno chiarito, solo nel primo caso riconoscendo la tutela, che la tutela autoriale nell’ambito del design industriale è limitata e circoscritta solo alla produzione c.d. di fascia alta, ossia a quelle opere che dimostrino un valore artistico accertato con criteri obiettivi. Secondo la Corte, per riconoscere qualità artistiche all’opera del design industriale non è sufficiente che essa sia apprezzata nel contesto ordinario in cui è abitualmente commercializzata o esposta, ma è necessario che essa generi interesse e apprezzamento da parte degli ambienti culturali in senso lato.

La precisa applicazione dei criteri per verificare la sussistenza del valore artistico porta a chiedersi come dette Corti interpreteranno la decisione della CGUE proprio con riferimento a detto requisito. Una lettura estremamente letterale e ridotta alle risposte date dalla Corte ai quesiti posti, porterebbe a considerare il valore artistico quale un requisito supplementare incompatibile con la normativa comunitaria. Si dovranno necessariamente attendere i prossimi sviluppi della giurisprudenza nazionale per capire in che maniera i tribunali italiani interpreteranno l’orientamento che “sembra” espresso in Cofemel.

Quanto al secondo profilo, la Cofemel ribadisce che gli oggetti la cui forma è dettata unicamente dal risultato tecnico non possano essere protetti ai sensi della disciplina del diritto d’autore. Ciò in quanto sarebbe escluso quel necessario gradiente di creatività richiesto dalla Direttiva InfoSoc. A tal riguardo si consideri il caso della biciletta Brompton sottoposto di recente alla Corte europea la quale ancora non si è espressa (C-833/18).

Alla Corte europea è stato chiesto se la protezione del diritto d’autore venga esclusa quando la forma dell’oggetto sia “necessaria per pervenire a un risultato tecnico” e quali criteri debbano applicarsi ai fini di tale valutazione. In sostanza, si tratta quindi di stabilire se una bicicletta il cui sistema di piegatura era tutelato da un brevetto oggi estinto possa essere qualificata come opera suscettibile di protezione mediante diritto d’autore.

L’AG, le cui conclusioni sono state pubblicate il 6 febbraio scorso, afferma che la Direttiva 2001/29/CE non tutela con il diritto d’autore le creazioni di prodotti con applicazione industriale la cui forma sia determinata unicamente dalla loro funzione tecnica, in quanto ciò escluderebbe la componente creativa, espressione tipica dell’autore dell’opera.

Quanto ai criteri di valutazione, l’AG Campos ritiene che, il giudice nazionale debba tenere in considerazione indici oggettivi per stabilire se le caratteristiche della forma siano determinate unicamente dalla sua funzione tecnica. In particolare, si sofferma sulla possibile esistenza di un brevetto anteriore poi scaduto sostenendo che “da un lato, un brevetto registrato può servire per chiarire se ricorressero condizioni tecniche che imponevano la forma del prodotto, dall’altro, la scelta del brevetto, quale strumento per tutelare l’attività di chi lo registra, consente di presumere che esista uno stretto rapporto tra la forma brevettata e il risultato perseguito”.

Infine l’AG prende in considerazione la circostanza per cui esistono altre possibili forme che permettono di pervenire al medesimo risultato tecnico. Al riguardo, l’AG sostiene “l’irrilevanza delle soluzioni alternative al fine di chiarire il nesso di esclusività tra le caratteristiche dell’aspetto e la funzione tecnica del prodotto”. Pertanto, qualora la funzione tecnica sia l’unico fattore che determina l’aspetto del prodotto, è irrilevante che esistano altre forme alternative. Al contrario, può essere rilevante il fatto che la forma scelta includa elementi non funzionali importanti, che rispondono a una libera scelta dell’autore.

A tal riguardo sarà interessante vedere come la Corte europea si esprimerà sul caso e se riproporrà l’interpretazione anticipata dalla sentenza Cofemel. Queste due decisioni potrebbero costituire colonne portanti dell’evoluzione della tutela delle opere dell’industrial design.