Anche in presenza di violazioni gravi delle norme a tutela della concorrenza, è necessario tener conto degli effetti pregiudizievoli concreti esercitati dall’intesa e del suo impatto economico effettivo ai fini di valutare sia la gravità dell’infrazione sia l’entità della sanzione. Così si è pronunciato il Consiglio di Stato (Cds) nella sua sentenza del 30 giugno, accogliendo parzialmente il ricorso presentato da quattro società (Ricorrenti), attive nel settore dello smaltimento dei fanghi civili, avverso la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

L’AGCM, a seguito di una segnalazione, aveva avviato un procedimento volto a verificare l’eventuale presenza di un cartello attivo nelle gare di assegnazione dei servizi relativi al recupero e allo smaltimento di fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue. Il procedimento si era concluso con la condanna delle Ricorrenti e con l’imposizione di sanzioni complessivamente pari a oltre 3 milioni di Euro. Infatti, l’AGCM, sulla base del materiale probatorio acquisito, aveva rilevato l’esistenza di un’intesa volta a ripartire i quantitativi di fanghi assegnati nel corso delle gare tenutesi tra il 2008 e il 2013. A tal fine, tre delle Ricorrenti avevano sottoscritto un accordo quadro in cui erano previste le modalità di spartizione dei volumi in gara e le sanzioni monetarie in cui le parti sarebbero incorse in caso di mancato rispetto delle norme contenute nell’accordo stesso.

Il provvedimento dell’AGCM è stato in seguito confermato dal TAR del Lazio (TAR). Le Ricorrenti si sono quindi rivolte al CdS sostenendo che l’AGCM non avrebbe (i) valutato le spiegazioni alternative dell’accordo e consistenti nell’attività di lobbying nei confronti della Regione Lombardia, in procinto di modificare la normativa in materia; (ii) tenuto in considerazione la diminuzione sia dei prezzi sia delle quote di mercato di alcune delle Ricorrenti, alla quale si sarebbe assistito nel corso della presunta intesa, e che sarebbe incompatibile con l’esistenza di un cartello, il quale è in genere volto a determinare un innalzamento dei prezzi; e (iii) valutato correttamente la gravità del presunto accordo anticoncorrenziale, irrogando sanzioni eccessive.

Il CdS conferma in gran parte le conclusioni dell’AGCM e del TAR affermando, in particolare, che le spiegazioni alternative che potevano giustificare l’accordo quadro sottoscritto dalle Ricorrenti sono state prese in considerazione e confutate dall’AGCM in quanto, nonostante la legittimità della stipula dell’accordo in sé, è l’utilizzo a fini ripartitori che ne è stato fatto a rilevare dal punto di vista antitrust. Invece, la censura attiene alle questioni sollevate in relazione alla diminuzione dei prezzi e all’eccessività delle sanzioni imposte. A tal proposito il CdS sebbene abbia rilevato che “…la riduzione dei prezzi del servizio non è incompatibile con la configurabilità di una intesa illecita per oggetto…”, tuttavia l’AGCM avrebbe dovuto tener conto di tale circostanza, o quantomeno della mancanza di prove pratiche del pregiudizio causato dall’intesa, nel determinare la percentuale applicabile al valore delle vendite, ossia uno degli elementi base del calcolo delle sanzioni. Alla luce di ciò, il CdS ha ritenuto che il livello di gravità dell’infrazione andasse ridotto da notevole a semplice e che, di conseguenza, la percentuale applicata alla vendite andasse diminuita: non più il 15% ma il 5% delle stesse. Le Ricorrenti hanno quindi beneficiato di una riduzione della sanzione, in alcuni casi ulteriormente accentuata per il ruolo marginale svolto e per le condizioni economiche negative in cui versava una delle Ricorrenti.