In data 20 marzo 2019, la Commissione Europea ha sanzionato Google per aver abusato della propria posizione dominante sul mercato dell'intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca attraverso l’imposizione di una serie di clausole restrittive nei contratti con siti web di terzi, impedendo in tal modo ai propri concorrenti di inserire su tali siti le proprie pubblicità collegate alle ricerche. 

I siti web di terzi rappresentano un importante punto di accesso per i fornitori di intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca, quali Microsoft e Yahoo, per potenziare la propria attività e per tentare di competere con Google. Essi, infatti, non hanno la possibilità di vendere spazi pubblicitari nelle pagine dei risultati di ricerca di Google. Attraverso la piattaforma AdSense for Search, Google fornisce annunci pubblicitari collegati alle ricerche ai proprietari dei cosiddetti siti publisher. In altre parole, Google agisce da intermediario pubblicitario tra inserzionisti e proprietari di siti web che vogliono trarre profitto dallo spazio prossimo alle pagine dei risultati della ricerca. La fornitura da parte di Google di servizi di intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca ai siti publisher più importanti dal punto di vista commerciale si è sviluppata tramite accordi negoziati individualmente.

L’indagine della Commissione era iniziata nell’ambito della più ampia indagine su Google Search , relativa al servizio di comparazione dei prezzi online noto come Google Shopping. Nel luglio 2016, la Commissione aveva inviato a Google una comunicazione degli addebiti, esponendo le proprie conclusioni preliminari ai sensi delle quali Google aveva abusato della propria posizione dominante, limitando artificiosamente la possibilità da parte dei siti web di terzi di mostrare annunci pubblicitari collegati alle ricerche dei concorrenti di Google.

La Commissione ha rilevato che gli accordi in questione imponevano un obbligo di fornitura esclusiva, che impediva ai concorrenti di inserire annunci pubblicitari collegati alle ricerche sui siti web più significativi dal punto di vista commerciale e, successivamente, prevedevano una cosiddetta strategia di "esclusiva non rigida" volta a riservare gli spazi migliori per gli annunci di Google collegati alla ricerca, e a controllare gli annunci dei concorrenti. In particolare, dall’indagine della Commissione, era emerso che:

  • dal 2006 tali accordi contenevano clausole di esclusiva in base alle quali ai publisher era fatto divieto di mostrare sulle pagine dei risultati di ricerca annunci pubblicitari collegati alla ricerca dei concorrenti; 
  • dal 2009 Google aveva gradualmente iniziato a sostituire le clausole di esclusiva con le cosiddette clausole di "posizionamento premium", che imponevano ai publisher di riservare lo spazio più redditizio sulle pagine dei risultati di ricerca agli annunci di Google e di prevedere un numero minimo di annunci di Google, così impedendo ai concorrenti di inserire i propri messaggi pubblicitari collegati alle ricerche negli spazi maggiormente visibili e cliccati delle pagine di visualizzazione dei risultati delle ricerche dei siti web;
  • dal 2009, inoltre, Google aveva previsto clausole che imponevano ai publisher di chiedere l'autorizzazione scritta di Google prima di modificare le modalità in cui erano visualizzati i messaggi pubblicitari dei concorrenti. Ciò consentiva a Google di controllare quanto fossero efficaci i messaggi pubblicitari dei concorrenti. 

Secondo la Commissione, tali pratiche costituiscono un abuso della posizione dominante nel mercato dell'intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca, che impedisce una concorrenza basata sul merito. Google, infatti, detiene una posizione dominante nel mercato dell'intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca nello Spazio economico europeo (SEE) almeno dal 2006: tra il 2006 e il 2016 Google deteneva una quota di mercato superiore al 70%. Inoltre, nel 2016 Google aveva detenuto quote generalmente superiori al 90% nei mercati nazionali della ricerca generica e superiori al 75% nella maggior parte dei mercati nazionali della pubblicità collegata alle ricerche.

La Commissione ha rilevato che la condotta di Google ha danneggiato la concorrenza ed i consumatori, altresì limitando l’innovazione. I concorrenti di Google non sono stati infatti in grado di crescere e di offrire servizi di intermediazione pubblicitaria alternativi a quelli di Google. Di conseguenza, i proprietari dei siti web disponevano di opzioni più limitate per monetizzare gli spazi e sono stati costretti ad affidarsi quasi esclusivamente a Google.

L’ammenda inflitta dalla Commissione ammonta a circa 1,49 miliardi di euro e corrisponde al 1,29% del fatturato di Google nel 2018. L’importo della sanzione tiene conto della durata e della gravità dell'infrazione ed è stato calcolato sulla base del valore delle entrate di Google provenienti dall'intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca nel SEE, nel rispetto degli Orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006.

Non è la prima volta che la Commissione sanziona Google per pratiche restrittive della concorrenza. Nel luglio 2018, la Commissione aveva inflitto a Google una sanzione record di circa 4,34 miliardi di euro per la violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), con riferimento al mercato dei dispositivi mobili Android5 . Inoltre, nel giugno 2017 la Commissione aveva imposto a Google una sanzione di circa 2,42 miliardi di euro per abuso di posizione dominante in relazione al servizio di comparazione dei prezzi online Google Shopping.