La sentenza dello scorso 15 maggio del Tribunale di Firenze sul caso “David di Michelangelo” (sull’uso dell’immagine dell’opera iconica in assenza di autorizzazione espressa da parte della Galleria dell’Accademia di Firenze, titolare dei diritti in qualità di conservatrice) rivela non poche novità interpretative, al di là della eclatante circostanza della condanna inflitta alla casa editrice statunitense Condé Nast Publications per aver pubblicato sulla copertina della rivista GQ, nel luglio 2020, l’immagine dell’opera d’arte sovrapposta attraverso il meccanismo della cartotecnica lenticolare all’immagine del modello italiano Pietro Boselli, per fini squisitamente pubblicitari.
In accoglimento delle tesi sostenute dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, il Tribunale di Firenze ha richiamato gli articoli 2 e 9 della Costituzione Italiana, asserendo che “Come viene garantito, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, il diritto alla identità personale, inteso come diritto a non veder alterato e travisto il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico e professionale, così occorre tutelare, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, il diritto all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale che è parte della memoria della comunità nazionale” . Muovendo da tale tesi il Tribunale ha riconosciuto, in favore della Galleria, la sussistenza sia di un danno patrimoniale, correlato al mancato pagamento del canone per l’uso del bene, sia di un danno di natura non patrimoniale, perpetrato attraverso l’accostamento dell’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello realmente esistente “così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico e identitario dell’opera d’arte e asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale”
La questione del riconoscimento del danno di natura non patrimoniale trova i propri precedenti in due altri provvedimenti del Tribunale di Firenze, il primo del 2017. In un’ordinanza cautelare il Tribunale inibì a suo tempo un’agenzia di viaggi, in assenza di autorizzazione della Galleria dell’Accademia, l’uso di una foto del David sul proprio materiale promozionale. Il secondo pronunciamento è del 2022, quando sempre il Tribunale di Firenze condannò un centro di formazione toscano per scultori per aver diffuso una campagna pubblicitaria online in cui veniva riprodotta l’immagine del David di Michelangelo, anche in questo caso senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione.
Il problema giuridico del diritto di riproduzione di un’opera d’arte, che venga altresì riconosciuta ai sensi di legge come “bene culturale” s’interseca quindi con la disciplina della tutela del diritto d’autore e con la legislazione sui beni culturali.
Preliminarmente occorre ricordare che alla riproduzione di un’opera d’arte è accordata una triplice tutela, a livello internazionale, comunitario e nazionale.
Il diritto di riproduzione è tutelato come noto in ambito internazionale dalla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche (Convenzione Universale sul Diritto d'Autore) che, all’art. 9, dispone che “Gli autori di opere letterarie ed artistiche protette dalla presente Convenzione hanno il diritto esclusivo di autorizzare la riproduzione delle loro opere in qualsiasi maniera e forma.”
In ambito comunitario, vi è un espresso riferimento al diritto di riproduzione in diverse direttive europee, tra cui ad esempio la Direttiva sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione del 22 maggio 2001 (direttiva Infosoc), che, tra tutte, ha avuto il particolare merito di aver uniformato la definizione del diritto di riproduzione.
A livello nazionale la nostra legge sul diritto d’autore dispone all’art. 13 che “Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell'opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l'incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione”.
Sebbene il diritto di riproduzione attenga prevalentemente al carattere patrimoniale dell’opera, occorre rammentare che qualsivoglia riproduzione, anche se autorizzata dal titolare del diritto o anche nei casi in cui tale autorizzazione non sia necessaria, ovvero dopo 70 anni dalla morte dell’autore o perché si rientri nelle eccezioni previste dalla legge, deve sempre avvenire nel rispetto dei diritti morali dell’autore medesimo. A tal proposito, oltre al diritto di paternità - ossia il diritto ad essere menzionato come autore dell’opera riprodotta - l’autore o i suoi eredi potranno invocare il diritto morale d’integrità dell’opera per contestare una riproduzione che considerino lesiva dell’onore e della reputazione dell’artista. E’ quello che è accaduto anche nella sentenza in esame, laddove, al di là del tema squisitamente economico, l’accostamento dell’immagine del David a quella di un modello realmente esistente è stata ritenuta svilente, umiliante e mortificativa dell’alto valore simbolico e culturale dell’opera (non a caso è stato riconosciuto un danno non patrimoniale pari a circa 30.000 Euro).
Tuttavia, seguendo l’interpretazione della Sentenza di Firenze, alcune opere d’arte (come nel caso del David) acquistano ex lege o mediante un provvedimento dell’autorità amministrativa lo status di “bene culturale”. In tal caso, alle problematiche sul diritto d’autore si aggiunge la legislazione in materia di tutela del patrimonio culturale. Ai sensi degli art.li 10 e 11 del Codice dei Beni Culturali (D.lgs 42/2004), per bene culturale si intende quell’opera d’arte sia mobile o immobile che presenti un interesse culturale, ossia un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico, oltre ad altre “cose” individuate dalla legge, o in base alla legge, quali testimonianze aventi valore di civiltà.
In ogni caso, perché si tratti di beni culturali si deve parlare di opere realizzate da un autore non più vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni fa.
La riproduzione di beni culturali è spesso utilizzata per cataloghi o brochure di mostre, merchandising, promozione culturale, oltre che per l’uso in ambito digitale. Con riferimento alla loro riproduzione, l’art. 107 del Codice dei Beni Culturali dispone che “Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore”.
Ne discende che in base alla disciplina specifica dei Beni Culturali è necessaria l’autorizzazione alla riproduzione dell’opera da parte dell’amministrazione, autorizzazione che deve considerarsi meramente discrezionale da parte dell’amministrazione e che viene rilasciata dal responsabile dell’ente sulla base di valutazioni “che hanno ad oggetto la finalità della riproduzione, anche sotto il profilo della compatibilità con la dignità storico-artistica dei beni da riprodurre, il numero delle copie da realizzare, la verifica di tollerabilità della metodica sulla copia da riprodurre”
L’art. 108 del Codice dei Beni Culturali prevede, nel contempo, che i canoni di concessione e i corrispettivi connessi alla riproduzione siano determinati dall’autorità che ha in consegna il bene culturale. Per questo motivo, il Tribunale di Firenze, nel caso che ci occupa, ha condannato la casa editrice a rifondere i danni patrimoniali alla Galleria per un importo di circa 20.000 euro, sulla base del Tariffario del Museo. Invero, con decreto ministeriale del 20 aprile 2005 (Decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali, D.M. 8 aprile 1994, Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero)sono stati determinati gli indirizzi, i criteri e le modalità per la riproduzione dei beni culturali.
Nessun canone è dovuto, viceversa, per le riproduzioni che siano richieste da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione purché attuate senza scopo di lucro, neanche indiretto. Tuttavia, anche nei casi in cui non è previsto il versamento dei canoni, sarà comunque necessario richiedere all’amministrazione l’autorizzazione all’uso.
Il D.L. del 31 maggio 2014, n. 83 (c.d. decreto Artbonus) ha introdotto un nuovo comma 3bis all’art. 108 del Codice dei Beni Culturali, che liberalizza totalmente alcuni usi specifici, quindi realizzabili senza necessità neanche di autorizzazione.
Tali usi, tra cui la riproduzione dei beni culturali, sono liberi a condizione che avvengano senza scopo di lucro e per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero, espressione creativa o promozione della conoscenza del patrimonio culturale. La riproduzione dei beni culturali, qualora si ricada in tali ipotesi, è inoltre consentita solo se non comporta alcun contatto fisico con il bene, se non vi sia l’esposizione dell’opera a sorgenti luminose, né l’uso di treppiedi o stativi.
L’innovazione è importante perché è grazie a questa liberalizzazione che i visitatori di musei pubblici sono ormai liberi di scattare fotografie a beni culturali e pubblicarle, ad esempio, sui social network o sul web, mentre una casa editrice non può fare altrettanto e pubblicare liberamente la foto sulla copertina di una rivista.
In conclusione, occorre rilevare come per i beni culturali sussista una sovrapposizione tra la disciplina pubblicistica del codice dei beni culturali e quella della legge sul diritto d’autore. Infatti, sia l’art. 107 del Codice dei Beni Culturali, sia il D.M. 20 aprile 2005 che detta le disposizioni per l’applicazione di tale articolo del Codice, fanno espressamente salve le disposizioni sulla legge d’autore. In tali casi entrambe le normative devono essere applicate in parallelo: la disciplina patrimoniale d’autore troverà applicazione fino a quando le opere non saranno cadute in pubblico dominio (ossia siano decorsi settant’anni dalla morte dell’artista) facendo salvo i diritti morali di paternità ed integrità dell’opera che possono essere esercitati in perpetuo, mentre la disciplina pubblicistica di tutela dei beni culturali si applicherà sempre laddove occorra riprodurre un bene culturale.
Ne consegue, che in caso di riproduzione di beni culturali, al di fuori dei casi di liberalizzazione sopra analizzati, saranno necessarie due autorizzazioni: una da richiedere sempre all’amministrazione e un’altra al titolare dei diritti d’autore sull’opera, sino a quando le opere non siano cadute in pubblico dominio o salvo che tale riproduzione non rientri tra le eccezioni previste dalla legge sul diritto d’autore.
L’importanza della Sentenza richiamata sta nella circostanza che a guidare la decisione dei Giudici risultano esser state entrambe le discipline, quella sulla legge del diritto d’autore per quanto attiene ai diritti morali, perpetui e irrinunciabili, di paternità ed integrità dell’opera (con il riconoscimento del danno non patrimoniale) e quella pubblicistica di tutela del patrimonio culturale per quanto attiene, in particolare, alla mancata richiesta di autorizzazione e al versamento dei canoni, che ha condotto al riconoscimento del danno patrimoniale.