Ancora un tax ruling rilasciato dalle autorità lussemburghesi sotto la lente della Commissione Europea. Un'ulteriore indagine è stata infatti avviata per verificare se gli accordi fiscali conclusi tra le autorità lussemburghesi e la HUHTAMAKI, multinazionale finlandese del packaging alimentare, abbiano conferito a quest’ultima un indebito vantaggio rispetto ai suoi concorrenti in violazione delle norme UE sugli aiuti di Stato.
L’indagine, ufficializzata lo scorso 7 marzo, si inserisce tra le investigazioni tuttora in corso su varie multinazionali - tra le quali si segnala anche la recente indagine avviata sul gruppo statunitense NIKE (10 gennaio 2019) - in cui la Commissione sta valutando se, nell’ambito dei tax ruling rilasciati dalle competenti autorità fiscali, sia stato rispettato il cd. “principio di libera concorrenza” (o “arm’s lenght”), ossia se i prezzi e i relativi pagamenti tra società di uno stesso gruppo (transfer pricing) siano conformi alle condizioni che avrebbero stabilito imprese indipendenti per transazioni comparabili. Se così non fosse, sarebbe confermato che gli Stati Membri coinvolti, tramite tali tax ruling, avrebbero concesso un trattamento fiscale di vantaggio ad hoc (i.e., selettivo) a talune imprese, in violazione della disciplina degli aiuti di Stato. Analoghe indagini hanno già coinvolto altri noti colossi, tra cui Apple, Amazon, Starbucks, Fiat ed IKEA. Qui ci soffermeremo più da vicino sulle recenti investigazioni.
1.Il caso HUHTAMAKI
Focus specifico dell’ultima indagine sono 3 tax ruling ottenuti nel 2009, 2012 e 2013 dalla società Huhtalux Sarl relativi ai finanziamenti intercompany “infruttiferi”ricevuti da parte di una società irlandese del Gruppo, e con i quali veniva finanziata (a titolo oneroso) l’attività di altre consociate. Tali accordi avrebbero, da una parte, definito i parametri di determinazione degli interessi passivi “figurativi” secondo il valore di mercato (i.e. al tasso di interesse che sarebbe stato riconosciuto da una banca terza per tale finanziamento), dall’altra, avrebbero consentito alla Huhtalux di dedurre tali interessi passivi figurativi sui finanziamenti ottenuti dalla società irlandese.
Un punto critico per i Servizi della Commissione consiste nell’assenza di effettivi pagamenti di interessi passivi da Huhtalux alla società irlandese essendo il finanziamento “infruttifero”. Di talché, con tale schema, il gruppo finlandese avrebbe ridotto in maniera considerevole i profitti imponibili in Lussemburgo (mediante deduzione di interessi passivi figurativi non effettivamente pagati), ivi ottenendo un vantaggio fiscale indebito rispetto ai propri concorrenti.
2.Il caso NIKE
L’indagine si concentra sui tax ruling conclusi tra il 2006 e il 2015 (due ancora in vigore) con cui le autorità fiscali olandesi hanno definito il metodo per calcolare i profitti di due società distributrici olandesi del Gruppo, Nike European Operations Netherlands Bv (Nike BV) e Converse Netherlands Bv (Converse BV), basato sui rispettivi margini netti derivanti dalle vendite nella regione Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). Con detti tax ruling le autorità fiscali olandesi avrebbero riconosciuto i criteri di determinazione delle royalty dovute dalle società distributrici ad altre due società olandesi del Gruppo per l’utilizzo dei marchi in tal modo giustificando la marginalità netta ritenuta accettabile dell’attività distributiva svolta da Nike BV e Converse BV.
Sotto l’aspetto fiscale in particolare le royalty passive corrisposte da Nike BV e Converse BV, rappresentano un costo deducibile in capo a queste ultime che riduce, pertanto, la loro base imponibile ai fini delle imposte sul reddito nei Paesi Bassi. Di converso, le società beneficiarie del pagamento delle royalty (detentrici degli IPR) non hanno corrispondentemente tassato nei Paesi Bassi le royalties ricevute essendo, le stesse società, costituite nella forma di “Commanditaire vennootschappen” (“CV”) e quindi fiscalmente trasparenti ai fini dell’imposizione nei Paesi Bassi.
La Commissione non ha messo in discussione il funzionamento in sé (sebbene discutibile) del sistema tributario olandese, che non rientra nella competenza della UE in materia di aiuti di Stato, ma si è, invece, focalizzata sul disallineamento tra l’allocazione dei profitti (royalties) e la sostanza/struttura economica delle società coinvolte (CV versus Nike BV e Converse BV).
Secondo un'analisi preliminare delle attività, Nike BV e Converse BV contano più di mille dipendenti e sono coinvolte nello sviluppo, gestione e sfruttamento degli IPR concessi in licenza dalle CV; in particolare, Nike BV pubblicizza e promuove i prodotti Nike nella regione Emea e sostiene i costi per le attività di marketing e vendita. Al contrario, i beneficiari delle royalties sono entità del gruppo Nike che non hanno dipendenti, né attività economiche significative. Una prima analisi funzionale svolta dalla Commissione dimostrerebbe, pertanto, che l’ammontare delle royalties, dedotto fiscalmente dalle società distributrici e allocato alle CV senza una corrispondente tassazione, sembra confliggere con la realtà economica fattuale delle società coinvolte e contrastare con quanto società indipendenti avrebbero negoziato in condizioni di libera concorrenza.
3.Osservazioni conclusive Le investigazioni in oggetto, che si caratterizzano per l’intreccio della disciplina degli aiuti di stati con quella del transfer pricing, rappresentano un segnale chiaro ed incontrovertibile che le aziende multinazionali operanti in Europa non possono non cogliere.
In primis, sebbene si tratti solo di analisi preliminari suscettibili di inversione di rotta da parte della Commissione , questi casi potrebbero avere un impatto rilevante sulla attuale struttura fiscale e societaria dei gruppi multinazionali coinvolti che dovrebbe condurre ad una genuina riorganizzazione di ruoli e funzioni delle varie entità del Gruppo coerentemente con i nuovi principi codificati dall’OCSE, nelle varie action BEPS, e con il principio dell’arm’s lenght.
In questa prospettiva, le multinazionali dovrebbero comprendere le accorate richieste di trasparenza da parte delle Autorità fiscali di tutte le economie più penalizzate, ricorrendo a procedure di accordo preventivo che prevedano la con-presenza delle autorità fiscali di tutti i paesi coinvolti dalle transazioni internazionali del Gruppo. Tale approccio eviterebbe altresì una concorrenza fiscale indebita di taluni Stati verso altri, e addirittura tra gli stessi Stati Membri della UE.
Nel contesto sopra delineato, si segnalano i cd. “APA”, Advance pricing agreements, accordi con i quali si definiscono, in via preventiva, i criteri e i metodi adottati per la determinazione dei prezzi di trasferimento che, contrariamente ai tax ruling di cui si discute3 , danno maggiori garanzie sul rispetto degli standard internazionali codificati a livello OCSE e dall’Unione Europea, e pertanto meno esposti a contestazioni anche ai fini della disciplina delle norme UE sugli aiuti di Stato.
A tal riguardo, risultano interessanti per l’Italia le ultime statistiche pubblicate dall’EU Joint Transfer Pricing Forum4 secondo cui il numero degli accordi fiscali conformi agli standard OCSE e UE (“APA” e “MAP”, Mutual Agreement Procedure) avviati dall’Agenzia delle Entrate è aumentato sensibilmente dal 2016 al 2017; in particolare, al 31 dicembre 2017 le APA aperte risultano 109, mentre le MAP aperte 468 (a fine 2016 erano 453). Lo stesso Forum, in audizione presso la Commissione UE il 24 ottobre 2018, ha sottolineato l’importanza di tali strumenti per le amministrazioni finanziarie degli Stati Membri per restringere il campo degli abusi sui prezzi di trasferimento infragruppo oltre rendere sempre più residuale il problema di doppia imposizione all’interno dei Gruppi societari.
A nostro avviso è auspicabile un intervento costante della Commissione per arginare all’interno della UE comportamenti degli Stati Membri che creino concorrenza fiscale dannosa (cd. “harmful tax competition”) al solo fine di attrarre investimenti stranieri avvantaggiando le loro economie in modo indebito a discapito di altri Stati Membri.
Sotto un profilo operativo, non possono essere invece nascoste le difficoltà di coordinamento (giuridico, ma anche politico) dell’azione della Commissione in una materia fortemente armonizzata e centralizzata come gli aiuti di Stato, che è materia di concorrenza, e la disciplina delle imposte dirette, che è materia di mercato interno, non armonizzata per definizione, in cui le attribuzioni dell'Unione sono molto limitate. In aggiunta, i servizi della Commissione che si occupano di aiuti di Stato (DG Concorrenza) e quelli che si occupano di imposte dirette (DG Mercato Interno, ora chiamata "DG Grow") agiscono in luoghi differenti con sensibilità politiche molto diverse, e qualsiasi questione in materia di aiuti di Stato fiscali diventa di competenza cd. "inter-servizi" rallentando dunque qualsiasi azione intrapresa.