Con l’espressione diritto all’oblio, in giurisprudenza, si è più volte fatto riferimento al diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca, ma che nella realtà attuale non sono più di interesse pubblico. Il suo presupposto concettuale poggia sul rilievo per cui l’interesse pubblico alla conoscenza di un fatto è racchiuso in quello spazio temporale necessario ad informarne la collettività, mentre con il trascorrere del tempo esso si affievolisce fino a scomparire. In sostanza, con il trascorrere del tempo il fatto cesserebbe di essere oggetto di cronaca per riacquisire l’originaria natura di fatto privato (Cfr. Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, 1834)

Il diritto all’oblio consiste quindi nel diritto dell’individuo alla completa ed attuale informazione su di sé. Il diritto all’oblio salvaguarda pertanto la proiezione sociale dell’identità personale, l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall’accadimento del fatto che costituisce l’oggetto) di attualità delle stesse, sicché il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell’esplicazione e nel godimento della propria personalità (Trib. Milano Sez. I, 07-06-2012, Massima redazionale, 2013). Il diritto all’oblio salvaguarda l’interesse del soggetto a non vedere rievocate vicende screditanti del passato, ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati, e a non restare indeterminatamente esposto alle conseguenze negative che la rievocazione di quel fatto arreca al suo onore ed alla sua reputazione, salvo che eventi successivi rendano nuovamente attuale l’interesse pubblico alla riproposizione della notizia passata.

Quando ci si riferisce al “diritto all’oblio”, cioè all’esistenza di un diritto a non essere esposti indefinitamente sotto i riflettori della “notorietà”, bisogna tenere distinte situazioni diverse: la riproposizione di una informazione personale in ambito giornalistico a distanza di tempo; la ripubblicazione di vecchi articoli contenenti dati personali in archivi storici giornalistici messi a disposizione online; nonché’ la reperibilità (o meno) degli articoli inseriti in archivio storico attraverso i motori di ricerca esterni (es. Google).

In relazione a quest’ultimo punto, il Garante per la protezione dei dati personali, decidendo su diversi ricorsi e segnalazioni ricevuti, ha adottato (in alcuni casi, non tutte le richieste sono state accolte) soluzioni che tentano di bilanciare diversi interessi in gioco: il “diritto all’oblio”, la finalità di ricerca e documentazione storica che per definizione non è sottoposta a limiti temporali (come riconosciuto anche dal Codice privacy, art. 99), la libertà di manifestazione del pensiero anche attraverso l’uso della rete internet. Ferma restando l’intangibilità dell’archivio storico, il Garante ha in alcuni casi deciso di accogliere le richieste di non consentire la perenne associazione di un nome a una notizia pubblicata molti anni prima. In tal senso, quindi, il Garante ha dunque ordinato di sospendere la reperibilità dell’informazione attraverso i più comuni motori di ricerca generalisti, come Google (privacy e giornalismo, edizione 2012).

A tal riguardo, giova altresì evidenziare che, per la Suprema Corte di Cassazione, il soggetto titolare dei dati personali oggetto di trattamento deve ritenersi titolare del diritto all’oblio anche in caso di memorizzazione nella rete Internet, mero deposito di archivi dei singoli utenti che accedono alla rete e, cioè, titolari dei siti costituenti la fonte dell’informazione. A tale soggetto, invero, deve riconoscersi il relativo controllo a tutela della propria immagine sociale che, anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei dati, e se del caso, avuto riguardo alla finalità di conservazione nell’archivio ed all’interesse che la sottende, finanche alla relativa cancellazione (Cass. civ. Sez. III, 05-04-2012, n. 5525).

In ogni modo, il dibattito sul tema del diritto all’oblio e’ ancora molto acceso e controverso, tenuto conto che recentemente l’Avvocato generale, Niilo Jääskinen – nella sua Opinione resa in data 25 giugno 2013, nella causa C-131/12 (Google Spain SL, Google Inc., v. Agenzia Española de Protección de Datos (AEPD), Mario Costeja González), pendente avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a seguito di un rinvio pregiudiziale sollevato nel 2012 dall’Audiencia Nacional spagnola – ha affermato che la Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31) non istituisce un «diritto all’oblio» generalizzato.

L’autorità iberica per la protezione dei dati personali, Agenzia Española de Protección de Datos aveva, infatti, ordinato a Google Spain, su richiesta di diverse persone, la rimozione di collegamenti ad alcune notizie ritenute non più attuali dagli interessati dai risultati generati attraverso il suo motore di ricerca.

In tutta risposta, Google si era dichiarata estranea alla disciplina europea sui dati personali e pertanto si era rifiutata di uniformarsi all’ordine impartitole dall’autorità, promuovendo appello avverso il provvedimento dell’AEPD.

Per l’Avvocato Generale, il diritto di oblio non può essere fatto valere nei confronti di fornitori di servizi di motore di ricerca fondandosi sulla direttiva sopra citata, neppure con un’interpretazione alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Per l’Avvocato Generale, la direttiva accorda a ogni individuo il diritto ad opporsi, in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che lo riguardano, salvo disposizione contraria della normativa nazionale. Tuttavia l’Avvocato Generale considera che la sola preferenza soggettiva non integri un motivo preminente e legittimo e che quindi la direttiva non conferisca ad un individuo il diritto di limitare o far cessare la diffusione di dati personali che egli consideri dannosi o contrari ai suoi interessi.

Sulla base della citata direttiva, si ravvisa una responsabilità laddove il responsabile del trattamento sia consapevole dell’esistenza di informazioni che costituiscono dati personali ed ugualmente ne effettui un trattamento strettamente legato alla loro natura. Nel caso oggetto della causa pendente avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, invece, Google non esercita alcun controllo sui contenuti presenti nelle pagine web di siti sorgente. Infatti, per l’Avvocato Generale, la sola fornitura di uno strumento per la localizzazione dell’informazione, non implica alcun controllo sui contenuti presenti nelle pagine web di terzi e non pone il fornitore del motore di ricerca in condizione di distinguere tra i dati personali e gli altri dati. Al contrario, il gestore del motore di ricerca, come Google, sarà responsabile del trattamento dei dati personali, secondo gli obblighi previsti dalla Direttiva succitata, allorché ometta di aggiornare il contenuto della memoria cache su richiesta del proprietario del sito.

È possibile per l’Avvocato Generale che la responsabilità indiretta dei fornitori di servizi di motore di ricerca in base alla normativa nazionale possa condurre a doveri consistenti nel bloccare l’accesso a siti web di terzi a contenuto illecito, quali pagine web che violano diritti di proprietà intellettuale o che mostrano informazioni diffamatorie o illegali. Per contro, esigere che i fornitori di servizi di motore di ricerca eliminino informazioni legittime e legali che sono divenute di pubblico dominio comporterebbe un’ingerenza nella libertà di espressione dell’editore della pagina web. A parere dell’avvocato generale ciò equivarrebbe ad una censura, ad opera di un privato, del contenuto pubblicato dall’editore.

L’Avvocato generale, pertanto, non ravvisa alcuna responsabilità in capo al gestore del motore di ricerca il quale non ha contezza dei contenuti diffusi nelle pagine web, salvo il caso in cui il proprietario del sito internet abbia richiesto al provider di aggiornare le informazioni e questo non abbia provveduto alla rimozione del link.