Con la sentenza 29810 del 12 dicembre 2017, la Corte di Cassazione ha di fatto stabilito la nullità di tutte le fideiussioni omnibus stipulate in conformità allo schema contrattuale predisposto dall’ABI.

L’Associazione Bancaria Italiana (“ABI”) è un’associazione senza scopo di lucro a cui aderisce la pressoché totalità delle banche italiane e che, tra le altre cose, predispone schemi negoziali concernenti condizioni generali di contratto che le banche possono utilizzare nei rapporti con la clientela. Tra questi, l’ABI ha predisposto un modello di fideiussione omnibus,  recepito dalle banche italiane, in merito al quale la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, aveva dichiarato il contrasto di alcune clausole in esso contenute con la normativa Antitrust (legge n. 287 del 1990), poiché suscettibili di aggravare la posizione contrattuale del fideiussore implicando oneri aggiuntivi a suo carico, nel momento in cui tali clausole venivano uniformemente applicate dalle banche associate.

Nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte con la suddetta pronuncia, un fideiussore nei cui confronti una banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo, aveva richiesto alla Corte di Appello di Venezia la nullità del contratto di fideiussione, poiché pacificamente conforme allo schema ABI di cui si discute.

La domanda, tuttavia, era stata rigettata dalla Corte d’Appello sull’assunto che il provvedimento n. 55 della Banca d’Italia non potrebbe applicarsi a contratti conclusi prima della sua emanazione e ciò in quanto tale provvedimento – di carattere regolamentare - non potrebbe incidere sulla legittimità delle clausole, ma soltanto sulla loro contrarietà all’art. 2 della legge Antitrust, che sancisce il divieto di intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, in conseguenza della loro applicazione uniforme.

Pertanto, il fideiussore ha sollevato avanti ai Giudici di legittimità una serie di motivi di ricorso.

La Corte di Cassazione, già nel 2005, aveva rilevato come la legge antitrust dettasse norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non solo gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse alla conservazione del carattere competitivo del mercato, sì da poter eccepire un pregiudizio derivante dal venir meno o dalla riduzione di tale carattere competitivo per effetto di intese vietate. Al consumatore finale, infatti, deriverebbe l’elusione del diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, anche attraverso la stipula di un contratto “a valle”, che costituisce lo sbocco dell’intesa vietata “a monte”, e ne attua e realizza gli effetti per gli acquirenti finali.

Le intese vietate, poiché hanno l’effetto di restringere o falsare il gioco della concorrenza, non sono solo i contratti in senso tecnico, tanto che la norma antitrust proibisce più generalmente la distorsione della concorrenza anche quale frutto di comportamenti non contrattuali o non negoziali, in qualunque forma posti in essere. E difatti la Banca d’Italia aveva posto in essere tali accertamenti e rilevato l’idoneità dell’utilizzo uniforme della fideiussione predisposta sul modello ABI a svilire la concorrenza, al punto che era stata prescritta la rimozione delle specifiche clausole uniformi.

Tuttavia, la Corte di Appello di Venezia aveva ritenuto che la prescrizione di rimozione costituirebbe un “dato integrativo” dell’illecito, che potrebbe tuttavia verificarsi solo nel caso di inosservanza.

La Suprema Corte, al contrario, ha ritenuto che ai fini dell’illiceità sia sufficiente l’avvenuta constatazione del comportamento antigiuridico, consistente nelle intese restrittive e, in aggiunta, ha stabilito che la Corte di Appello non avrebbe dovuto (e non potrà in sede di riesame) escludere la nullità del contratto di fideiussione per il solo fatto della sua anteriorità all’indagine della Banca d’Italia, perché se la violazione “a monte” (l’intesa restrittiva della concorrenza) è stata consumata anteriormente alla negoziazione “a valle” (lo specifico contratto), l’illecito anticoncorrenziale consumatosi prima della stipula della fideiussione travolgerà senz’altro il negozio concluso “a valle”.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha statuito che ai fini dell’accertamento di intese anticoncorrenziali vietate dalla legge 287 del 1990, la stipula di contratti “a valle” che siano applicazione delle intese illecite “a monte”, comprende anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte della Banca d’Italia, a condizione che l’intesa sia stata materialmente posta in essere prima del negozio denunciato come nullo. Ciò in quanto rientrano nella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscono la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza.

Nello stabilire tale principio di diritto, peraltro, la Cassazione ha rinviato la causa alla Corte di Appello, che nel decidere dovrà attenervisi, ma a tal riguardo resta da comprendere quale sarà il rimedio applicato alla fideiussione omnibus conforme al modello ABI, ossia  se  si tratterà di una nullità assoluta o piuttosto di una nullità soltanto parziale che riguardi le clausole “incriminate”, avendo anche riguardo alla circostanza per cui la conservazione del contratto assolverebbe allo scopo di facilitare la concessione di credito da parte delle banche.

La Suprema Corte, infatti, ha semplicemente stabilito che la Corte di Appello non può escludere la nullità per il solo fatto che la fideiussione è precedente al provvedimento della Banca d’Italia, ma non ha del tutto chiarito la reale conseguenza di tale principio in tema di nullità assoluta o solo parziale e, pertanto, sarà necessario attendere la pronuncia della corte territoriale per comprendere la portata della sentenza in esame.

Appare legittimo ritenere che la scelta ricadrà sulla nullità soltanto parziale, con evidenti finalità di conservazione dei contratti di fideiussione. Laddove, tuttavia, l’orientamento dovesse propendere per una nullità di tipo assoluto, le conseguenze sarebbero di enorme rilevanza, a beneficio di fideiussori che si troverebbero liberati dal proprio obbligo di garanzia e avrebbero perfino titolo a richiedere il risarcimento del danno subito nel caso di escussione già avviata, ma soprattutto a danno degli istituti di credito, che rischierebbero di trovarsi privi delle garanzie accessorie al proprio credito, pur avendo concesso i relativi finanziamenti anche sulla base della prestazione delle stesse.